Cina, la grande marcia verso lo sviluppo sostenibile |
di Flavio Rottenberg e Marco Lucentini
La questione ambientale attualmente è senza ombra di dubbio una delle principali problematiche a livello mondiale. I documenti programmatici e i numerosi summit internazionali hanno sancito, a più riprese, l’importanza di una strategia comune finalizzata alla salvaguardia ambientale. Le soluzioni adottate negli accordi hanno avuto alterne vicende, (a tutt’oggi il Protocollo di Kyoto non è stato ancora ratificato) anche se il rinnovato interesse da parte degli organi governativi verso la tematica ambientale ha avuto certamente dei vantaggi. In primo luogo ha generato una presa di coscienza sui rischi di uno sviluppo economico e sociale non orientato verso i principi della sostenibilità ambientale; in secondo luogo ha avuto il pregio di identificare in maniera forte e chiara le responsabilità dei Paesi industrializzati nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, e più in generale verso le generazioni future che abiteranno il nostro pianeta. Proprio l’identificazione e l’analisi di tali responsabilità palesa il ruolo chiave di un Paese che più di tutti nei prossimi anni determinerà la riuscita o meno di tali politiche: la Cina. Il rapido sviluppo della Cina – va subito precisato - è avvenuto senza forti ripercussioni sul sistema sociale cinese, già provato da anni di regime, e soprattutto senza un vero e proprio impatto sull’ambiente, dando vita ad un fenomeno senza precedenti. Non è un caso che la Repubblica Popolare Cinese può contare in modo sostanziale sui fondi messi a disposizione da numerose organizzazioni internazionali pubbliche o a capitale privato tra le quali la World Bank, (WB), l’Asian Development Bank, il Global Environment Fund (GEF), il Fondo Multilaterale per la protezione dell’Ozono (FMO). A questi si aggiungono i fondi pubblici e gli investimenti privati nell’ambito delle Convenzioni e dei Protocolli per la protezione dell’ambiente globale. In definitiva è possibile affermare che nel suo processo di modernizzazione la Cina ha fatto della protezione dell’ambiente una delle sue politiche nazionali fondamentali, ha considerato la realizzazione dello sviluppo sostenibile come un importante strategia e ha attuato in tutto il Paese misure su vasta scala per la prevenzione e il controllo dell’inquinamento e per la protezione dell’ambiente ecologico. La pratica sta dimostrando che il principio di effettuare uno sviluppo coordinato tra economia, società e ambiente adottato dalla Cina sembra essere efficace.
A fronte di tassi di crescita economica ormai stabilizzatisi intorno al 7-8 per cento corrisponde, infatti, una diminuzione delle emissioni totali di anidride carbonica (CO2), negli anni compresi tra il 1996 ed il 2001, del 7,3 per cento e di quelle di metano (CH4) del 2,2 per cento. Il dato risulta ancor più significativo se si considera la diminuzione delle emissioni di gas serra nell’uso dei combustibili fossili, la materia prima energetica di gran lunga più importante del mondo. Ebbene, tra il 1995 ed il 2000 la Cina ha ridotto dell’8,8 per cento tale quantità mentre, nello stesso periodo, i maggiori Paesi industrializzati quali il Giappone, l’Europa Occidentale, gli Stati Uniti e l’India hanno fatto registrare rispettivamente un aumento del 3 per cento, del 4,5 per cento, del 6,3 e dell’8,8. La velocità con cui la Cina sta facendo diminuire la propria intensità energetica, intesa come la quantità di energia impiegata per produrre un’unità di ricchezza (quantità unitaria di PIL), non ha riscontri simili nella storia recente. I Paesi industrializzati, nei primi anni di sviluppo, hanno sempre visto aumentare i propri consumi energetici in maniera esponenziale. Il tentativo di dare un volto a questo sorprendente fenomeno ha portato a considerare le numerose sfaccettature della politica ambientale cinese.
Innanzitutto il considerevole aumento dell’efficienza energetica del sistema produttivo industriale che grande interesse sta suscitando tra i maggiori economisti di tutto il mondo. Aumento dovuto in gran parte, come prima accennato, agli accordi di collaborazione e cooperazione che hanno permesso alla Repubblica Popolare Cinese di consolidare importanti partnership con i maggiori Paesi di nuova e vecchia industrializzazione, attratti dalla prospettiva di affacciarsi su un mercato in piena espansione. Le possibilità di investimento risultano evidenti per le aziende straniere interessate ad una presenza sul mercato cinese nei settori dell’impiantistica, nella gestione dei servizi urbani e ambientali e in generale nelle attività specialistiche finalizzate alla tutela dell’ambiente. Opportunità dettate direttamente dalle autorità cinesi che hanno indicato come prioritari settori: il ciclo dell’acqua (approvvigionamento, depurazione), la qualità dell’aria (tecnologie per l’abbattimento di emissioni industriali e da traffico), eliminazione di rifiuti solidi urbani ed industriali (discarica, termo-distruzione), bonifica di siti inquinati e progressiva eliminazione di sostanze chimiche inquinanti nell’industria e nell’agricoltura, miglioramento dell’efficienza energetica, impiego di fonti rinnovabili e di combustibili a basso inquinamento. Obiettivi che trovano conferma nella continua crescita del numero di leggi e regolamenti a tutela dell’ambiente con contenuti molto rigorosi a cui si accompagna un aumento verticale degli investimenti dello Stato, delle autorità locali e delle maggiori industrie nel settore del miglioramento dei servizi urbani e dell’introduzione di tecnologie industriali ecocompatibili.
Un esempio è il ruolo sempre maggiore nelle politiche di sviluppo svolto dal Sepa (State Environmental Protection Administration), una sorta di Agenzia di protezione ambientale, per non parlare delle numerose commissioni, nate all’ombra del Protocollo di Kyoto, che producono documenti di pianificazione energetica sostenibile. Interessante è il “Future Implications of China’s Energy-Technology Choices” del 24 luglio 2001 ad opera del Working Group on Energy Strategies and Technologies (WGEST) e del China Council for International Cooperation on Environment and Development (CCIED), nel quale si fissano con estrema minuziosità gli obiettivi strategici per uno sviluppo ecocompatibile del settore energetico.
Il documento affronta i temi più scottanti del comparto energetico con particolare attenzione verso la risorsa carbone di cui la Cina risulta il primo consumatore e il principale produttore, con una quota di 13 milioni di tonnellate l’anno. Cifre che fino a poco tempo fa fotografavano una situazione di disastro ambientale se, come erroneamente si pensava, l’obiettivo fosse stato quello di puntare tutto e solo sul carbone. Viceversa il futuro sembra certamente più roseo. Innanzitutto è da considerare la scoperta, negli ultimi anni, di imponenti giacimenti che hanno ridato forza all’utilizzo di tecnologie più pulite e con rendimenti più elevati quali la cogenerazione con centrali alimentate a metano. Grazie anche ad un periodo di relativa apertura e liberalizzazione economica, inoltre, il governo cinese ha fatto registrare un reale miglioramento nell’efficienza e nella pulizia delle proprie centrali a carbone. Nel corso del 2003, infatti, è stata riscontrata una riduzione dei consumi pari al 10 per cento con una diminuzione di consumo del carbone che si attesta al 16,8 per cento. Nella sola Pechino i maggiori produttori cinesi come la Jingueng Heat and Power Plant e la Guohoa Beijing Heat and Power Plant hanno investito circa 24 milioni di dollari nella desolforizzazione dei loro generatori con lo scopo di ridurre la quantità di zolfo emesso di 10.000 tonnellate l’anno.
Anche nelle Università, che alla fine degli Anni Ottanta avevano rappresentato la principale forma di opposizione al regime e alle sue politiche, il nuovo indirizzo intrapreso pare essere stato accettato con molto interesse. La quantità di istituti di ricerca e di personale impegnato nella protezione ambientale è stata costantemente aumentata. Per la fine del 2002 erano stati creati su scala nazionale circa 1.000 istituti di ricerca scientifica impegnati nella protezione ambientale, dotati di un personale di ricerca e decisionale di oltre 50.000 unità; questi numeri sono destinati a crescere rapidamente. La rete è composta dall’Accademia cinese delle scienze, da Dipartimenti competenti nei differenti settori, istituti e università oltre a divisioni della protezione ambientale. La gamma della ricerca nella scienza e tecnologia ambientale è stata costantemente ampliata ed è stata posta in una posizione di importanza dallo stesso Governo. Per alcuni dei principali soggetti di ricerca ambientale il governo cinese ha formulato corrispondenti programmi e piani di ricerca per la protezione ambientale, organizzando allo stesso tempo forze per affrontare problemi chiave scientifici e tecnologici. Come risultato, il Paese ha compiuto balzi da gigante dal punto di vista scientifico e tecnologico in alcuni ambiti di ricerca, come la prevenzione e il controllo dei tassi d’inquinamento, la salvaguardia dell’ambiente atmosferico e del territorio, il controllo dei depositi di acidi inquinanti, la previsione e il monitoraggio dell’influenza dei cambiamenti nel clima mondiale e le corrispondenti contromisure, i nuovi sistemi per la cattura degli inquinanti prodotti nell’utilizzo del carbone e il controllo dell’inquinamento dell’aria.
La Cina ha anche sviluppato la ricerca in campi quali la valutazione d’impatto ambientale locale, la gestione e l’economia ambientale, le nuove tecnologie per il monitoraggio ambientale, il rapporto tra ambiente e salute degli esseri umani, ambiti di interesse tra i più evoluti nel panorama della ricerca sullo sviluppo sostenibile. Le maggiori Università a carattere scientifico-economico si sono dotate di corsi di laurea qualificati nello studio delle tematiche energetiche e ambientali con particolare enfasi sulle problematiche relative al monitoraggio e valutazione dello stato dell’ambiente e la riduzione dei consumi energetici in tutti i settori cardine quali l’industria, la mobilità e il settore edilizio. L’istruzione superiore ha fornito una gran quantità di personale scientifico, tecnologico e decisionale per il lavoro della protezione ambientale. Un totale di 200 istituti e università, compresi l’Università popolare della Cina, l’Università Normale di Pechino, l’Università di Nanchino, l’Università di Tongji l’Università di Wuhan, ha dipartimenti specializzati nelle problematiche ambientali autorizzati a conferire la laurea. Con l’approvazione del Comitato delle lauree accademiche sotto il Consiglio di Stato ci sono 289 corsi di studio che assegnano lauree in 79 corsi concernenti l’ambiente, più di 100 unità che assegnano dottorati in 54 corsi e parecchi posti per ricercatori. Inoltre oltre 50 scuole secondarie specializzate e oltre 150 scuole superiori professionali offrono anch’esse corsi sull’ambiente. Nei trascorsi 20 anni, un gran numero di specialisti formati sono diventati un punto di forza per le università e i centri di ricerca di tutto il mondo.
Le fonti energetiche rinnovabili legate allo sfruttamento delle biomasse, dei rifiuti solidi urbani e biogas, l’energia solare ed eolica non rappresentano più una zona d’ombra ma sono entrate prepotentemente nella didattica universitaria a fronte anche di un utilizzo sempre più massiccio delle stesse nelle aree metropolitane, rurali e nell’agricoltura.In tema di sostenibilità ambientale all’interno delle grandi città non depone certo a favore il nuovo paesaggio urbano rappresentato dalle centinaia di grattacieli, diventati ormai una costante “nordamericana” della struttura urbana, illuminati di notte da migliaia di luci colorate che delineano le imponenti strade intasate di autoveicoli in quasi tutte le ore del giorno e della notte. Se a questo aggiungiamo il proliferare di centri commerciali e ristoranti aperti quasi continuativamente, in prima istanza lo scenario è molto preoccupante. Anche in questo caso, però, in parte è possibile fare un passo indietro. Nel 2002 il grado di inquinamento dell’aria nelle grandi metropoli è diminuito e la densità di polveri sottili e NOx nell’aria sono scese, in media, del 7,1 e dell’8,1 per cento rispetto all’anno precedente. L’adozione nel trasporto cittadino di motori a gas naturale ad alta efficienza e bassissime emissioni così come i nuovi eco-carburanti e l’introduzione di processi di emulsione acqua e gasolio, quest’ultimo bandito fino a poco tempo fa dai grandi centri urbani, stanno diventando una pratica usuale non solo a Pechino (impegnata direttamente nell’organizzazione delle Olimpiadi del 2008 e quindi sotto i riflettori) ma anche in altre città afflitte da analoghi problemi quali Shangai e Nanchino. Nelle periferie il mezzo utilizzato rimane ancora la bicicletta, che in alcuni ipermercati è possibile acquistare a prezzi molto bassi; il modello munito di pedalata elettrica assistita costa meno di 2.000 Yuan (circa 200 euro, corrispondenti a due mensilità).
L’utilizzo del carbone per il riscaldamento domestico sta rapidamente lasciando il posto ai più moderni sistemi a pompa di calore, certamente più efficienti rispetto ai normali impianti con caldaia e che, inoltre, consentono anche il decentramento dei siti di produzione con indubbi vantaggi dal punto di vista dell’inquinamento urbano. Non è trascurabile nemmeno l’apporto dei sistemi solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria; l’uso di questi impianti, infatti, è cresciuto tantissimo fino a diventare una costante nei nuovi progetti di edilizia oltre ad aver mantenuto un florido mercato anche in altre applicazioni. La Cina sta dimostrando a tutto il mondo che uno sviluppo sostenibile è possibile e in un panorama profondamente depresso i numeri la posizionano come vera locomotiva dello sviluppo economico e sociale a livello mondiale. I Paesi industrializzati nel secolo appena trascorso sono stati i principali responsabili dei maggiori danni ambientali che ha subito il nostro pianeta ma è facilmente prevedibile che nel prossimo futuro saranno proprio le economie emergenti del Terzo Mondo a immettere in atmosfera la maggior quantità di CO2 e metano. Se queste economie non seguiranno la strada intrapresa dalla Cina la lotta contro il cambiamento climatico sarà persa in partenza.
I risultati raggiunti dalla Cina in termini di riduzione delle emissioni assolute di CO2 rendono ancora più evidenti le responsabilità dei Paesi ricchi, togliendo loro ogni alibi. In questi anni i Paesi OCSE hanno prodotto molti buoni propositi e poche azioni mentre la Cina produceva poche parole e molte azioni. Lo sviluppo cinese ha un duplice significato. Da una parte ha svuotato di significato la vecchia concezione di considerare la riduzione delle emissioni di gas serra non compatibile con lo sviluppo economico. Dall’altra ha fatto capire al mondo che anche i Paesi in via di sviluppo, anche se svincolati dal Protocollo di Kyoto, stanno facendo la loro parte. Se i trend di crescita enunciati saranno rispettati, entro i prossimi dieci anni la Cina diventerà la più grande economia mondiale. Potranno gli Stati Uniti e l’Europa sostenere la competitività economica del colosso cinese se non intraprenderanno la strada dell’efficienza? E soprattutto, potranno sostenere la competitività di un Paese considerato povero per reddito pro capite, che si sobbarca buona parte dei problemi globali del pianeta?
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