di Domencio Dispenza* e Marco Alverà**
*Direttore generale divisione Gas &Power
**Direttore supply &portfolio development (divisione Gas &Power) e Responsabile sviluppo attività Eni in Russia
Mentre l’Europa fatica ancora a porre al primo posto della propria agenda il tema energetico, nonostante i notevoli sforzi profusi su aspetti come l’efficienza, la riduzione degli impatti ambientali e l’utilizzo delle fonti rinnovabili, Paesi fortemente assetati di energia come Stati Uniti, India e Cina stanno cercando da tempo di individuare diverse soluzioni volte a garantirsi approvvigionamenti certi e, laddove possibile, a prezzi convenienti.
Scendendo nel particolare del mercato del gas naturale, l’Europa non solo si trova a competere a livello globale nell’individuazione di nuovi flussi di gas, ma anche ad assistere a un progressivo cambiamento dei mercati stessi, con nuovi player che si affacciano e nuovi competitor all’orizzonte.
EUROPA: VOLUMI, OPERATORI, FORNITORI
Secondo i dati pre-consuntivi di Eurogas, l’associazione che rappresenta l’industria del gas continentale, il consumo gas in Europa (EU27) è stato di circa 500 miliardi di metri cubi nel 2006, pari a un quarto del bilancio energetico primario complessivo. Tale consumo è stato coperto in parte con la produzione interna, ma in misura ben più rilevante con importazio- ni da Paesi non appartenenti all’Unione.
La dipendenza da Paesi extra-Ue, se si considera anche la Norvegia, è oggi del 64 per cento rispetto al totale dei consumi europei, ed è destinata ad aumentare considerevolmente nel medio e lungo termine, dal momento che la domanda europea cresce mentre i grandi bacini di produzione gas interni, come quello olandese o quello del Mare del Nord britannico, sono in declino.
Anche nel 2006 il primato di volumi di gas importati spetta alla Russia, da cui proviene il 38 per cento del gas totale importato. Seguono le importazioni dalla Norvegia (26 per cento) e dall’Algeria (16 per cento). Giova ricordare, a questo proposito, che l’Unione europea produce solo l’8 per cento del gas mondiale. Un valore, questo, destinato a ridursi ulteriormente a causa del declino della produzione interna cui si accennava in precedenza e al fatto che l’Ue detenga solo l’1 per cento delle riserve mondiali. Nonostante questa limitata disponibilità di risorse locali, l’Europa ha promosso l’utilizzo del gas nei diversi settori in maniera sempre più consistente. Una volta che si decide di “andare a gas” è molto difficile, nel medio termine, tornare sui propri passi, e l’esplosione dei consumi di gas, in un contesto di produzioni europee declinanti e riserve modeste, ha portato l’Europa a una massiccia, quanto inevitabile, dipendenza dalle importazioni.
Il primo e più significativo esempio dell’importanza assegnata al gas in Europa è dato dallo sviluppo del settore della generazione elettrica, nel quale l’80 per cento di tutta la nuova capacità termoelettrica realizzata negli ultimi 10 anni è alimentata a gas. Ciò significa che il gas rappresenta oggi il 20 per cento della generazione elettrica in Europa, rispetto al 7 per cento degli Anni ‘80.
Il secondo esempio è il settore residenziale, che a un osservatore italiano potrebbe apparire il più maturo. Negli Anni ‘80 gli europei riscaldavano le proprie case ancora prevalentemente con prodotti petroliferi e addirittura, in una casa su quattro a livello continentale, con carbone. Oggi nessuno pensa più di utilizzare il carbone per il riscaldamento domestico, e circa metà di tutte le abitazioni europee utilizza il gas. Anche nel settore industriale, durante gli ultimi 25 anni, il consumo di gas è aumentato notevolmente, a spese dell’olio combustibile e del carbone. L’effetto combinato di tutte queste scelte è stato il raddoppio dei consumi di gas in Europa negli ultimi 25 anni, mentre i consumi petroliferi e di carbone sono diminuiti del 20 per cento.
L’Italia, tra i Paesi Ue, è forse quello che sintetizza al meglio sia l’importanza del gas come primaria fonte di energia, sia il grado di dipendenza dalle forniture esterne: nel 2006 ogni cittadino italiano ha “importato” più di 1.300 metri cubi di gas, circa il doppio della media europea, mentre l’Italia ha consumato, nello stesso anno, 84,5 miliardi di metri cubi, di cui solo il 17 per cento circa proveniente da produzione nazionale o da prelievo di stoccaggio. Il resto è stato importato: circa 26 miliardi di metri cubi dall’Algeria, circa 21 dalla Russia, circa 15 da Nor- vegia e Olanda, circa 7,5 dalla Libia e i restanti 7,7 da Nigeria, Croazia e altri fornitori minori.
Dal punto di vista dei player continentali, nel mercato a valle dell’importazione europea, secondo le rilevazioni dell’IFP/Cedigaz, il principale marketer risulta essere Eni, che direttamente e tramite controllate e consociate ha venduto nel 2006 circa 97 miliardi di metri cubi. Seguono la tedesca E.ON Ruhrgas con poco più di 80 e, a breve distanza, l’olandese Gasterra; quindi Gaz de France (poco meno di 60 miliardi)e più distanziate RWE, Centrica e Wintershall, attorno a 35 miliardi/anno.
IL RAPPORTO TRA PRODUTTORI E CONSUMATORI: SCENARI ATTUALI E FUTURI
Sia nel caso dell’Italia sia dell’Europa la dipendenza da pochi fornitori, e in particolare da Russia e Algeria, appare una caratteristica addirittura fondante del mercato. Ciò detto, oggi i media percepiscono la dipendenza europea rispetto al gas come parte di un più vasto fenomeno di mutamento del quadro internazionale. Occorre quindi riflettere su come negli ultimi anni si siano alterati gli equilibri tra Paesi e soggetti genericamente “produttori di energia” e Paesi consumatori, e su come questa alterazione si stia riflettendo sulla nostra percezione della dipendenza energetica e del gas in particolare.
Oggi viviamo un momento di prezzi altissimi dell’energia: il greggio ha raggiunto i 100 dollari al barile, e i Paesi produttori sono in posizione tale da gestire in modo più mirato la programmazione della propria produzione. Va poi ricordato che per alcuni di questi Paesi sta diventando molto importante anche dare attenzione al proprio mercato interno, ad esempio nel bacino del Mediterraneo, dove Egitto, Algeria e Libia presentano una crescita demografica sostenuta e hanno forti attese di sviluppo della propria industria e del settore della produzione elettrica locale.
Per le compagnie internazionali, un contesto così complesso rappresenta una sfida oggettiva: le grandi aziende vedono che la crescita della propria massa finanziaria e industriale non è più in sé sufficiente a facilitare l’accesso a nuove risorse e a garantire il tasso di successo nella ricerca. Di contro, il ruolo proattivo delle compagnie nazionali dei Paesi produttori, sostenute a loro volta dai Governi, ha ridotto la possibilità di accedere a riserve a basso costo nei principali Paesi produttori, e le compagnie internazionali sono quindi costrette a imbarcarsi in singoli “mega progetti” sempre più rischiosi, costosi e complessi. Ciò rende la disponibilità per i mercati di sostanziali nuove risorse energetiche assai problematica, alimentando una percezione diffusa di “scarsità” e precarietà.
Il mantenimento e la promozione della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, indipendentemente dalla fonte considerata (gas, petrolio, carbone, solo per fare un esempio), devono sempre essere il frutto di azioni armonizzate e di lungo termine da parte di un insieme completo di soggetti, in particolare da parte della politica, dei regolatori, dell’opinione pubblica e dell’industria energetica stessa. Il valore della “sicurezza degli approvvigionamenti” non è perciò un concetto statico o garantito, bensì qualcosa di estremamente prezioso che va tutelato e promosso al meglio. A ciò va aggiunto un ulteriore sforzo per mitigare le speculazioni, i cui effetti più eclatanti sono quelli sul prezzo del greggio, ma che si propagano anche a quello del gas in virtù dei meccanismi prevalenti di valorizzazione dei contratti di acquisto di lungo termine in Europa e Asia. Quasi tutti gli analisti appaiono concordi nel ritenere che non vi siano giustificazioni di mercato sufficienti a spiegare gli incrementi del prezzo del greggio degli ultimi mesi.
IL RUOLO DELLA POLITICA IN ITALIA E IN EUROPA
Senza voler invocare alcuna azione di dirigismo su fenomeni globali non più gestibili da singoli Governi, occorre che la politica a livello mondiale determini condizioni che riconducano nell’alveo di una gestibile normalità fenomeni altrimenti ingigantiti da tensioni e distorsioni sproporzionate rispetto ai fondamentali.
A livello europeo, per garantire stabilità ai mercati dell’energia, in particolare a quello del gas e dell’elettricità, sarà fondamentale che la politica prosegua nel percorso di armonizzazione delle regole e dei mercati nazionali, con l’obiettivo di giungere a un vero mercato unico dove la commodity gas possa muoversi ed essere commercializzata liberamente e dove i consumatori abbiano la possibilità di scegliere il proprio fornitore nel modo più agevole. Qualunque azione della politica europea dovrà sempre incoraggiare nuovi investimenti che consentano sia una migliore interconnessione dei singoli mercati, sia l’afflusso di nuovi volumi di gas.A livello nazionale appaiono ineludibili alcune azioni, anche se nell’immediato potenzialmente impopolari:
► Ribilanciare il mix delle fonti primarie, riconoscendo un ruolo preciso a componenti quali il carbone pulito, le rinnovabili e il nucleare di ultima generazione, e sostenere al contempo la promozione della “fonte” più pulita di tutte: l’efficienza energetica. In Italia esistono, infatti, margini estrema - mente ampi di miglioramento dell’efficienza di utilizzo di impianti di riscaldamento o di svecchiamento del parco elettrodomestici, solo per citare due esempi. Le azioni della politica potrebbero essere affiancate da quelle dell’industria, come nel caso dell’attuale campagna “Eni 30 per cento – Consumare meglio, guadagnarci tutti” nella quale Eni si fa portatrice di un messaggio di innovazione dei comportamenti “dal basso”, tramite la proposizione di un insieme di 24 semplici consigli che, se attuati, si possono tradurre in sostanziali risparmi.
►Combattere, tramite azioni di formazione ad ampio respiro e attraverso uno snellimento ulteriore delle procedure autorizzative nazionali e locali, l’attitudine Nimby ormai cronica nel nostro Paese, che si manifesta anche nei confronti di installazioni, quali ad esempio i rigassificatori, tanto vitali per la nostra sicurezza e differenziazione di approvvigionamento quanto vituperati nell’immaginario collettivo, che tende a percepirli come installazioni inquinanti e pericolose.
►Riconoscere un ruolo primario alle Società da sempre impegnate nel delicato ruolo di controparte nelle negoziazioni con i Paesi esportatori di gas, facendo sentire l’appoggio del Paese consumatore almeno in misura analoga a quanto i Paesi esportatori sostengono le proprie compagnie nazionali. Date le caratteristiche del mercato europeo del gas, solo soggetti di massa industriale e finanziaria adeguata possono trattare alla pari con le compagnie nazionali che ancora dominano il panorama dell’export di gas e possono garantire con la propria esperienza e il proprio differenziato portafoglio di approvvigionamento un’azione di protezione dei mercati finali in momenti di criticità.
►Sponsorizzare e sostenere progetti come nuovi gasdotti internazionali o intere filiere nel Gnl, favorendo lo sviluppo di condizioni che rendano ragionevolmente sicuri e redditizi per i partecipanti gli ingenti investimenti necessari e portando, allo stesso tempo, un miglioramento del sistema infrastrutturale.
LE PARTNERSHIP TRA I PRODUTTORI E L'INDUSTRIA EUROPEA DEL GAS
A livello europeo, l’affidabilità dell’industria del gas rimane ineguagliata: i rapporti stabiliti negli Anni ‘60 e ‘70 sono tuttora alla base degli accordi di fornitura gas di lungo termine. Le forniture da Russia, Algeria e dagli altri produttori sono continuate ininterrotte per decenni. Unico tema degno di nota, negli anni recenti, è stata la presenza di limitati ed episodici contraccolpi di natura logistica derivanti da momenti di evoluzione/ridefinizione dei rapporti contrattuali tra Russia ed ex Paesi satelliti situati lungo la rotta di alcune linee di importazione.
Negli ultimi anni questi rapporti, per volontà strategica di Gazprom e per un percorso di maturazione dei suoi clienti est europei, quali appunto Ucraina e Bielorussia, stanno diventando sempre più di natura commerciale, quindi pragmatica, rispetto a puri rapporti di forza politici. Le più o meno ricorrenti “crisi ucraine” o similari, che tanto spazio hanno trovato sulla stampa indipendentemente dai quasi nulli effetti sui mercati occidentali che esse hanno avuto, vanno quindi riconosciute come momenti di transizione verso nuovi equilibri di prezzo nei quali il gas non viene più ceduto sottocosto dalla Russia in cambio di diritti di passaggio nei gasdotti delle repubbliche ex-sovietiche europee, bensì gradualmente valorizzato a livelli di mercato.
È legittimo ritenere, inoltre, che sia stato anche l’impegno per la partnership espresso dall’industria europea a “minare” alle fondamenta le spinte oligopolistiche dei produttori: quando l’industria è in grado di proporre ai produttori occasioni di partnership e reciproco vantaggio, viene almeno in parte a mancare lo stimolo per questi ultimi ad arroccarsi su posizioni polarizzate. Né bisogna, a questo proposito, temere la costituzione della cosiddetta “Opec del gas”, dal momento che la natura estremamente codificata e bilaterale dei contratti di approvvigionamento del gas non consente spazi a meccanismi di fissazione del prezzo basati sulla gestione della produzione, come avviene invece per il petrolio in ambito Opec.
Da ultimo, le recenti fusioni e acquisizioni avvenute nello scenario europeo vanno considerate in un senso più ampio, visto il ruolo sia di attori storicamente provenienti dal mercato elettrico sia di soggetti provenienti principalmente dal gas. Il cosiddetto M&A (Mergers & Acquisitions, fusioni e acquisizioni) nella nostra industria non è solo un fondersi di Compagnie ma anche di mercati, e deriva da spinte di ottimizzazione e razionalizzazione che, se ben governate, possono produrre vantaggi anche per i consumatori e per la loro libertà di scelta. In quest’ottica vanno anche inquadrati i timori per una “calata” dei fornitori con mire di posizionamento e di acquisizione sul mercato europeo; la Commissione europea e l’opinione pubblica sono coscienti delle criticità associate ad avere soggetti ex-traeuropei con grosse disponibilità finanziarie “a caccia” di opportunità sul mercato energetico.
Noi riteniamo però che, fatte salve stringenti e severe condizioni di reciprocità negli investimenti, qualunque mossa di natura industriale che avvicini e coinvolga maggiormente l’Europa e i suoi principali fornitori energetici debba essere vista con favore e interesse, come un passo concreto lungo la via di nuove partnership necessarie per continuare a godere di rapporti robusti e di sicurezza nelle forniture.
Tirando le somme, è necessario andare al di là della relazione esportatore-importatore di gas, allargando gli spazi di cooperazione e mutuo vantaggio, in modo che i Paesi esportatori vedano ulteriore valore nel continuare ad interloquire con noi, nell’accedere al nostro know how, alla nostra esperienza internazionale e alla nostra forza finanziaria e di pianificazione, anche per progetti che si sviluppino in parte nel Paese esportatore stesso. A questo proposito, una regolamentazione che non preveda eccessive complicazioni procedurali o incertezze che potrebbero scoraggiare il già complesso e delicato procedimento associato alle decisioni di investimento in nuovi progetti, sarebbe più che auspicabile.
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