Emergenza sanitaria, crisi, smart working, ripresa.
E poi ambiente, sostenibilità, qualità dell’aria...
Se si volesse ridurre in un sintetico elenco a punti la lunga e interessante chiacchierata con Andrea Arzà, amministratore delegato di Liquigas, questi sarebbero gli elementi dell’insieme. In filigrana, a mo’ di filo rosso che lega tutti i temi toccati, spicca una parola: responsabilità.
“Sì, è proprio questo il centro. Responsabilità espressa in ogni direzione. Appena siamo entrati in questa crisi la priorità è stata fare il nostro dovere e insieme fare ciò che era nelle nostre possibilità. Il primo pensiero è stato per le persone di Liquigas che avrebbero dovuto affrontare le circostanze e, con poche informazioni a disposizione, continuare a prestare il proprio essenziale servizio”.
È quasi d’obbligo iniziare con una domanda sulla pandemia. Con quali (e quante) responsabilità avete affrontato l’emergenza?
Siamo stati, come tutti, fortemente colpiti da questa vicenda sul piano umano e sul piano del business. Avevamo non solo la responsabilità civile (e penale), ma ne sentivamo anche una morale nei confronti dei tanti collaboratori che hanno continuato a operare con generosità e spirito di sacrificio. E accanto alla naturale preoccupazione per le persone, per garantire che il regolare svolgimento delle loro attività non li coinvolgesse dal punto di vista della salute, abbiamo sentito anche una responsabilità di natura sociale.
Ovvero?
In virtù della peculiarità del servizio di pubblico interesse che Liquigas svolge – indispensabile per la vita delle famiglie e delle attività di impresa – sentivamo il dovere di continuare a garantire la nostra attività con accuratezza e tempestività. Non potevamo mettere a rischio uno dei servizi essenziali come è il riscaldamento o la cottura degli alimenti. Senza dimenticare, ovviamente, anche una responsabilità nei confronti degli azionisti, con l’obiettivo, nonostante tutto, di mantenere i conti in ordine.
Con il peggio - si spera - alle spalle, ci può dire come è andata?
In azienda abbiamo avuto solo tre persone colpite dal virus, fortunatamente ora completamente guarite. Con orgoglio posso dire che le misure adottate hanno fatto sì che nessun altro dipendente si ammalasse; e abbiamo anche evitato che questi tre casi potessero essere elemento di contagio per altri colleghi.
Per tutto il periodo critico abbiamo continuato a collaborare con le autorità - anche nel mio ruolo di presidente di Assogasliquidi - non facendo mai mancare un supporto e un parere. E nel contempo ci siamo adoperati - come Assogasliquidi e Federchimica - per sostenere la Protezione Civile con una donazione di 1 milione di euro per l’allestimento di una unità di terapia intensiva addizionale. Come Liquigas abbiamo offerto l’equivalente di una o più ore del nostro stipendio, e l’azienda ha raddoppiato la somma donata da ciascun dipendente, arrivando così a raccogliere 75 mila euro complessivi.
Arriviamo al presente. Che cosa ci attende ora?
Innanzitutto ci auguriamo che ci sia una ripresa e che questa sia veloce. E affinché ci sia veramente, dobbiamo pensare come continuare a dare il nostro contributo. Ascoltiamo tante promesse, c’è l’ipotesi che ci sia tanto denaro da distribuire in vari settori: i fondi europei, la Banca centrale... Si sta scatenando una specie di assalto alla diligenza al quale né come Liquigas né come Assogasliquidi abbiamo intenzione di partecipare.
A testimonianza di ciò, le dico solo che Liquigas in questi mesi ha fatto ricorso a nemmeno un’ora di cassa integrazione; eppure è colpita dalla crisi come tutte le altre imprese.
Perché questa scelta?
Riteniamo che questo sia un altro degli elementi distintivi della responsabilità sociale di un’impresa. Abbiamo pensato che avremmo potuto farcela da soli, abbiamo ritenuto che questi fondi potessero essere lasciati a realtà che avevano più bisogno di noi.
Abbiamo solo chiesto al nostro personale di fare un uso più intenso delle ferie, in modo da ridurre l’indebitamento della società verso i dipendenti: una richiesta, credo, non troppo penalizzante né per i dipendenti stessi né per le casse dello Stato.
Secondo alcuni il digitale aiuterebbe ad ascoltare di più e ad avere più attenzione. Secondo altri, racchiude invece elementi potenzialmente lesivi per la salute, in quanto le infinite sfumature con cui l’altro si manifesta non sono compattabili in due dimensioni. Lei cosa ne pensa?
Molti si sono espressi in modo incondizionato a favore o contro: io sono per un uso ragionevole del lavoro da remoto, da utilizzarsi nella misura in cui crea migliori condizioni per il benessere dell’individuo e per la produttività aziendale, ma non a scapito di questi due fattori.
Poco più della metà del personale Liquigas è stata in remote working (termine più corretto, perchè smart working è altra cosa...). Dico metà perché gli operai degli impianti dove stocchiamo e confezioniamo il GPL, gli autisti che ne consentono il trasporto, tutta la struttura operativa, è necessariamente sul campo. A loro è andato il primo pensiero e la gratitudine per il coraggio, oltre che per lo spirito di servizio.
Molte aziende hanno deciso di proseguire in remote working almeno fino all’autunno. Voi come state operando?
Quelle stesse persone che in questi mesi hanno lavorato da casa e che con generosità hanno condiviso i propri strumenti di lavoro, hanno chiesto oggi di rientrare e di essere partecipi della vita sociale, che è il vero valore di una impresa.
Abbiamo ripopolato gli uffici al 60 per cento adottando un sistema di prevenzione più restrittivo di quello previsto dalle autorità competenti. Due metri di distanza tra singole postazioni e mascherina obbligatoria nelle aree comuni: come utilizzo dei dispositivi manteniamo un livello di vigilanza inalterato rispetto al momento massimo della crisi.
Gli uffici sono stati ripopolati parzialmente anche perché c’è una evidenza logistica: se la regola è quella dei due metri, alcune sedi - come quella di Milano - non possono consentire la presenza concomitante di tutto il personale. Se non saranno tolte le restrizioni, una parte di noi continuerà a lavorare da remoto.
Che cosa rappresenta per lo sviluppo di una azienda?
Le attività di impresa sono attività umane e come tali hanno bisogno della relazione con l’altro. Ciò che noi siamo è ciò che abbiamo appreso attraverso l’interazione, che rappresenta un motore importante dell’impresa, l’elemento sostanziale di stimolo al confronto, di apprendimento, di sviluppo del pensiero. Attraverso il contatto personale e lo scambio di idee, di emozioni e di percezioni si riesce ad avanzare.
Molti dicono “Va bene, ma possiamo usare la tecnologia”. La tecnologia da sola non basta. Innanzitutto perché abbiamo iniziato da poco e dobbiamo imparare a usarla, imparare a lavorare in modo diverso. L’avanzamento è fatto di piccoli progressi quotidiani.
Quindi, lavoro da remoto sì o no? E con quali presupposti?
Direi sì, a due condizioni. Le aziende devono essere dotate di un sistema informatico capace di supportarlo. Inoltre, devono essere in grado di monitorare l’operatività del proprio business per garantirne la crescita.
In Liquigas, abbiamo immaginato di progettare giornate di remote working come strumento di benessere per il personale; ci sono alcune attività che se svolte in ambiente domestico possono essere più produttive che non in ufficio. Può essere anche un elemento di attenzione quando sono attese condizioni atmosferiche molto avverse o scioperi che rendono difficile recarsi sul posto di lavoro. Grazie a un continuo avanzamento tecnologico, il lavoro da remoto vuole essere un tentativo di agevolare il benessere dei dipendenti mantenendo nel contempo un adeguato livello di produttività: in questa visione Liquigas sta facendo tesoro dell’esperienza fatta in questi mesi.
In una fase di graduale ritorno a una “nuova normalità” come vede il futuro per una realtà come Liquigas?
Indubbiamente risentiremo della crisi del settore alberghiero, della ristorazione, del turismo in generale. Il comparto sta ripartendo un po’ a macchia di leopardo: accanto ad aree con significativi tassi di ripresa in termini di prenotazioni e utilizzo delle infrastrutture, ce ne sono altre in condizioni molto più difficili. Tutto dipenderà da quanto efficaci saranno gli aiuti all’economia. Perché se i nostri clienti perderanno il posto di lavoro non potranno essere buoni clienti...
Siamo ottimisti, ma prevediamo ovviamente uno scostamento tra la domanda effettiva e gli obiettivi che ci eravamo posti. Credo che questi elementi avranno un impatto su tutto il 2020, sperando che il 2021 sia tempo di una concreta ripresa, perché la macchina dei consumi è quella che risolve molti dei problemi.
Siamo in un momento delicato: la crisi ci interroga sulle azioni da intraprendere a breve, ma di pari passo la notevole disponibilità di risorse merita di essere orientata a interventi efficaci e verticali. In quale direzione vede le maggiori opportunità di investimento per il Paese e per il settore?
Se devo guardare fuori dai confini delle nostre aree di competenza e di responsabilità, noto che tutti oggi sono in modo più o meno motivato alla ricerca di sussidi e quello che non mi piace di tutta questa vicenda è che si cerca, con il tema dell’ambientalismo, di approfittare affinché questi aiuti prediligano alcune imprese a scapito di altre. Stiamo lavorando per evitare che questo accada.
Abbiamo già assistito in passato a leve di competizione non corrette, adducendo presunti valori di sostenibilità. Come Assogasliquidi siamo sostenitori della neutralità tecnologica, sia per i carburanti per autotrazione sia per i combustibili per l’industria e domestici.
Collaborando attivamente con il mondo accademico e della ricerca vogliamo dimostrare che certe opinioni non hanno fondamento scientifico, tecnico, industriale né tanto meno possono essere usate dopo una esperienza come quella dell’epidemia. Stiamo vigilando presso le autorità politiche e i governi centrali e territoriali affinché gli aiuti siano dati in funzione del valore reale che esprimono le singole industrie e del contributo vero che danno alla sostenibilità.
Parlando di inquinamento, il lockdown ha rappresentato una cartina di tornasole...
Sappiamo che il traffico - sia esso leggero, pesante, pubblico o privato - è sempre al primo posto nella critica di chiunque tratti il tema della qualità dell’aria. Durante il lockdown - a traffico praticamente azzerato - abbiamo visto che se da un lato è certo che le emissioni di CO2 si sono ridotte - ma con un prezzo da pagare che ha comportato una riduzione del Pil a due cifre - è rimasto aperto un grande tema: le polveri sottili del bacino padano, che presentavano anche durante il periodo di fermo totale dei veicoli valori vicini alla soglia di allarme. E quando questo accade in tempi normali, le amministrazioni locali di solito bloccano il traffico. Peccato che fosse già bloccato...
Questo è uno dei molti temi che l’epidemia ha evidenziato come prova provata, benché in precedenza ci fossero già riscontri incontrovertibili. Abbiamo avuto bisogno di una situazione eccezionale come questa - con il fermo di oltre l’80 per cento dei veicoli - per capire che il blocco del traffico da solo non è in grado di risolvere il problema delle polveri sottili. Spero che la politica finalmente ne prenda atto.
Cosa occorre per ripensare la mobilità ragionando a un livello più ampio, per costruire un sistema realmente in grado di rispondere alle esigenze di spostamento delle persone e ridurre le emissioni?
In tempi non sospetti abbiamo detto, e non solo a tutela legittima dei nostri interessi, che la questione non era riducibile al solo tema del traffico e che il problema andava affrontato non in modo ideologico ma strutturale.
Come Assogasliquidi sosteniamo che ci sono milioni di autovetture con livelli di inquinamento elevato perché sono nelle mani di consumatori che hanno un reddito che non consente loro di acquistare un nuovo veicolo; e probabilmente, durante e immediatamente dopo questa crisi, questo potere di acquisto si contrarrà ulteriormente. Pensare di proporre come soluzione di comprare un’auto elettrica è come offrire champagne a uno che sta per morire di sete.
Mi sembra di capire che le scelte politiche in materia manchino di un sano (e onesto) pragmatismo…
Di fronte a una posizione ideologica come questa, a un atteggiamento così poco coerente con le condizioni del mercato, abbiamo proposto di riattivare la possibilità - già utilizzata in passato - di dare un incentivo per finanziare la trasformazione di auto a benzina a GPL o a metano. Questo, tra l’altro, aiuterebbe l’industria dei retrofit e delle attrezzature per le trasformazioni che è una delle migliori al mondo, una vera eccellenza italiana, e metterebbe le famiglie nelle condizioni di usare la propria auto producendo immediatamente una consistente riduzione di gas serra e una enorme riduzione delle polveri sottili.
Il resto non richiede altri investimenti e, in un momento come questo, usare al meglio una infrastruttura esistente - e quella italiana è uno dei migliori network in Europa - non solo è logico e opportuno, ma porta miglioramenti immediati, facendo solo un piccolissimo ricorso a risorse necessarie alla ripresa della nostra economia.
La qualità dell’aria è un tema cruciale per l’Europa e che sta molto a cuore anche a Liquigas.
Sì, crediamo sia necessario aumentare la consapevolezza che bruciare biomasse in ambiente domestico significa fare un uso dissennato di una energia rinnovabile. Intendiamoci, non siamo affatto contrari alle rinnovabili, né all’impiego delle biomasse.
Affermiamo solo che se si vuole usare la biomassa - possibilmente di produzione italiana, visto che circa l’80 per cento dei pellet sono importati in buona parte da Paesi extra UE, come Canada e Ucraina - la si impieghi non in ambiente domestico ma in impianti industriali di grandi dimensioni, dove i dispositivi di abbattimento delle emissioni consentono di rimanere su livelli tollerabili.
Perché allora si continua a promuoverne l’acquisto?
Siamo un grande Paese ma ci sono dei meccanismi che a volte non si riesce a disinnescare. Spero che non ci siano più riserve ad adottare le misure necessarie per limitare l’uso della biomassa in ambiente domestico, perché non ce lo possiamo più permettere. Tra l’altro, molti dei consumi sono fatti a scapito di impianti più virtuosi dal punto di vista ambientale. Mi spiego meglio: la biomassa viene usata a integrazione di impianti a GPL o a gas naturale, il che è una contraddizione!
Perché si deve continuare a incentivare chi acquista una stufa a pellet, la cui competizione con queste energie più nobili viene fatta grazie ai sussidi? Ripeto, servirebbe maggiore coerenza e responsabilità da parte delle amministrazioni, a livello locale e nazionale.
Fornire energia a realtà che non sono collegate alla rete rappresenta un contributo concreto alla sostenibilità sociale – oltre che ambientale – dei territori?
Il nostro obiettivo è rappresentare la migliore forma di energia disponibile e affordable, cioè anche conveniente e accessibile; perché se costa troppo diventa difficile che sia a disposizione di tutti. Se mi passa uno slogan, non una energia per ricchi ma una energia per tutti.
L’Italia è un Paese meraviglioso fatto di irregolarità, in cui la logistica per trasportare servizi in tutte le aree abitate non servite dalla rete nazionale deve essere pensata anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Il GPL rimane la migliore energia, economica e con una spiccata sostenibilità ambientale; forti di questo fatto siamo disponibili per sostituire vecchie caldaie a gasolio, continuando a fare opera di persuasione a non tagliare alberi per bruciarli in una stufa domestica o andare al supermercato per comprare pellet canadesi ma a pensare a una energia versatile, flessibile, economica.
Non solo, quindi, semplici fornitori di combustibile...
Ancorati a questa strategia, cerchiamo di arricchire la nostra proposta con iniziative nuove. La nostra consulenza non è solo tecnica ma anche ecologica: ci offriamo di aiutare attraverso finanziamenti la trasformazione degli impianti e supportiamo le imprese affinché adottino processi di trasformazione tecnologica della produzione più moderni e sostenibili. Abbiamo una rendicontazione annuale dei miglioramenti che facciamo e del contributo che diamo alla diminuzione delle emissioni dei gas serra e delle polveri sottili. In aggiunta, proponiamo una serie di servizi che vanno dall’interazione digitale per consultazione fatture e archivi al controllo della manutenzione e dei tempi di consegna del prodotto.
Una provocazione al presidente di Assogasliquidi: mobilità “sostenibile” è solo sinonimo di “elettrica” o è pensabile in Italia un paradigma più articolato e completo?
Noi crediamo che tutte le industrie debbano contribuire al miglioramento dell’ambiente, che non è patrimonio di qualche ideologo. L’ambiente è tema troppo serio per essere privilegio di pochi; è responsabilità di tutti, è talmente complesso che nessuno da solo è in grado di trovare una soluzione definitiva. Siamo tutti poco preparati, ognuno deve fare la propria parte e la politica deve far sì che si ottenga questo risultato. Soprattutto non ci può essere irragionevolezza nell’impiego delle risorse. Faccio un esempio. Non sono contrario al fatto che il Paese aiuti l’industria dell’energia elettrica nel settore auto affinché si crei una tecnologia e una industria italiana capaci di partecipare alla catena del valore nel sistema della mobilità elettrica. Però è altrettanto vero che non ci vogliamo far raccontare storie da gente che non è sempre in buona fede e che non esprime tutte le competenze che servono.
Molti le direbbero che dal Nord Europa ci arriva un messaggio differente...
Le faccio un esempio che arriva dal Paese degli azionisti di Liquigas. All’aeroporto di Amsterdam Schiphol non si vede praticamente un taxi che non sia elettrico, credo che il 95 per cento dei taxi lo sia. E tutti a dire: come sono stati bravi in Olanda! Di per sé magari è cosa positiva, ma se devo mettere in relazione risorse, effetti di utilizzo e risultati finali, mi pongo delle domande. Come viene prodotta l’energia che alimenta quelle auto? Oltre il 20 per cento da fonte fossile di bassa qualità, come carbone e olio combustibile...
È per questo che sono un sostenitore del ciclo di vita, perché solo con una visione globale si massimizza il risultato ambientale.
Da manager e padre di famiglia, cosa si sente di suggerire?
Domandiamoci cosa possiamo fare come industria per migliorare le performance e guardiamo cosa fanno gli altri per imparare, al netto di ideologie o pregiudizi. Ogni azienda dovrebbe ammettere i propri punti di debolezza e valorizzare i punti di forza; così facendo si potrebbe lavorare insieme per trovare un bilancio per un uso ragionevole delle risorse e avere un mondo meno inquinato da consegnare ai nostri nipoti.
Perché oggi, o stiamo facendo nulla o quello che facciamo non è il meglio che potremmo fare. Le risorse non sono infinite, la nostra responsabilità consiste anche nell’usarle bene.
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